Oggi è la Giornata Internazionale della Nonviolenza. Sono stato invitato a parlare a una conferenza organizzata dalla http://www.guna.it/ a dire la mia sul tema e prima di me ha parlato l’Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, Ex Ministro degli Esteri.
Il mio intervento doveva essere pratico e mostrare alcune pratiche di Nonviolenza e avevo scritto un testo che trovate a seguire.
L’occasione di essere ascoltato da un Ex Ministro degli Esteri e persona molte influente nello scacchiere geopolitico internazionale, mi ha fatto pensare che avrei dovuto lasciare un seme in più, qualcosa che, se fertile, potesse uscire da quella stanza e far nascere qualcosa di bello su questo tema.
In sostanza il mio intervento si è basato su 3 buone notizie:
la prima è che viviamo in un mondo più pacifico, viviamo più uniti, anche se apparentemente non sembra, e se succede qualcosa, anche se male, tutte le diplomazie mondiali si parlano.
la seconda era l’idea di HUMAN FOR PEACE. Un organismo indipendente di 1000 persone, prese da tutti i Paesi del mondo compresi l’Iran, il Sudan, la Corea del nord e tutti quegli stati considerati “canaglia” dal mondo occidentale, che unisce il meglio delle pratiche e conoscenze sulla nonviolenza di ogni luogo e con la sua specificità e unirli per creare un organismo che promuove la pace nel mondo. 1000 Persone che comprendono profondamente le dinamiche della nonviolenza, anche le più sottili, che sappiano promuoverla perchè già dentro di loro la vivono. Ve lo immaginate?
Quindi il fatto che c’è un idea del genere è una buona notizia in un mondo in cui ci mostrano solo guerre e se all’Ex Ministro Terzi andasse a cuore, questo piccolo seme potrebbe entrare in stanze in cui personalmente difficilmente entrerei.
la terza buona notizia è che, anche se l’aggressività dell’uomo non può essere annientata proprio, perchè abbiamo bisogno di un aggressività sana per sopravvivere, si possono modificare tutti quei comportamenti che creano violenza con la rivoluzione della Compassione. Più avanti nel testo faccio degli esempi.
Quindi sono contento della soddisfazione del personale della Guna e che l’Ambasciatore Terzi sia rimasto contento. Chissà, magari l’annaffia!
🙂
Un saluto e godetevi il testo a seguire.
Alberto
La tematica della nonviolenza ha conquistato gli scranni politici e per molti aspetti è diventata una copertura per aggressioni di vario tipo, con parole semplicemente diverse.
Un esempio fra tutti è la partecipazione alla guerra al terrorismo in Afghanistan, “venduta” dalla NATO come operazione per il mantenimento della pace(Peacekeeping Operation) ed eseguita dalle Forze Armate. Quali esempi elevanti ci sono arrivati dalla saggistica militare per la Pace?
Quanti Premi Nobel per la Pace ci sono venuti dai militari?
Con tutto il rispetto per il lavoro della Difesa, viene da sé, che sono le persone meno adatte a realizzare certi obiettivi.
Detto ciò, bisogna riflettere se vogliamo rimanere su una questione di lessico, dove con l’ausilio della retorica ci possiamo salvare dalle intenzioni “belliche”. Per belliche intendo anche i nostri piccoli conflitti quotidiani con i colleghi, con il vicino, con i propri partner o se vogliamo approfondire il termine e guardare le dinamiche che creano i presupposti per la violenza.
Comincerei con ampliare lo spettro di focalizzazione considerando che ci sono diverse intensità di violenza, che per facilitare verranno enumerate da uno a dieci, in cui 10 è il desiderio di uccidere, di annientare l’altro, di “farlo sparire dalla faccia della terra”e 0,1, dove lo sguardo indignato di un passeggero vicino sul bus ha il tentativo, sia consapevole che no, di annichilire la persona che ha commesso, secondo il suo giudizio, un gesto d’inciviltà.
La violenza è già in uno sguardo e può nascere da quel meccanismo innato o, più tecnicamente, da una reazione del sistema nervoso autonomo(a seguito SNA), che viene chiamata in psicologia fight or flight response(Risposta Lotta-Fuga).

Per lavorare sull’organismo, quindi per regolare l’SNA a minimizzare le risposte aggressive, che in genere sono state strutturate fin dai primi anni di età e più o meno trasformate con le esperienze dell’età adulta, il lavoro cognitivo è limitato, in quanto la neo corteccia cerebrale non può controllare direttamente l’attività dell’SNA.
L’esempio è il cuore, è possibile controllarlo direttamente? Come sappiamo no, tuttalpiù possiamo agire per regolarlo.
I risultati delle neuroscienze degli ultimi 10 anni, ci dimostrano che alcune attività come lo yoga, il tai chi, il Chi Gong e la Meditazione possono agire sulla regolazione del sistema nervoso autonomo e con il tempo modificarlo in maniera significativa e duratura.
Questa gestione autonoma è il primo scoglio che incontriamo quando parliamo di nonviolenza, ci sono dinamiche dentro di noi che non è possibile comandare a bacchetta e che richiedono molti anni di lavoro per la loro trasformazione.
Possiamo proseguire nell’osservare la possibilità di trasformare cognitivamente le dinamiche disfunzionali che ci portano a provare rabbia, l’emozione che sta alla base della violenza. Anche qui nel focalizzare il fenomeno, utilizzeremo il misuratore da 1 a 10 per definire l’intensità. L’Ira con il numero 10, che ognuno di noi ha potuto vedere almeno una volta nella vita, soprattutto nella brutta faccia trasformata di un irato, che con le sue azioni e/o parole ha il tentativo di distruggere l’altro. Quello che invece si tende a non vagliare è quel piccolo gesto di aggressione(0,1), che sta alla base di un occhiata o di una parola che può essere diplomaticamente accettata, ma che comprende l’energia emozionale di sfondo che ha tendenzialmente il tentativo di azzittire, annichilire, umiliare, bloccare, manipolare, in una parola: sopraffare l’altro.
Il problema che tutti noi abbiamo, chi più chi meno, è la tendenza di utilizzare questa forza con il tentativo di “vincere”, con il desiderio di sentirsi meglio dell’altro.
Per trasformare la rabbia bisogna imparare a far emergere la compassione. Per compassione non s’intende quella comunemente conosciuta come pietà; mi fai pena per le tue miserie, in fondo però, mi sento meglio di te… ma piuttosto comprendere intimamente le difficoltà dell’altro che lo hanno portato a fare quel determinato gesto e riconoscerle come difficoltà umane che anche noi, magari in altri casi, proviamo. La Compassione è l’azione della madre che riesce a vedere, al di là della rabbia verso di lei del figlio, la sua intima debolezza, amandolo lo stesso. Chi è stata madre lucida sa, che a volte l’istinto è quello di uccidere il bambino e se ne guarda bene da dirlo in giro perché potrebbe essere giudicata male e quindi rischia una violenza lei stessa che la porterà a vergognarsi. Già si vergogna al solo riflettere di averlo pensato. Riuscire a provare compassione per chi ci odia, è una pratica che va sviluppata lentamente, è parte di fare della propria vita una vita felice, un opera d’arte. In questo bisogna cominciare dalle persone intorno a noi, da chi s’incontra per strada, da quel uomo che si agita con il clacson, perché magari la sua vita sta andando a rotoli e non ha la chiave per uscire dal quel tunnel, difficilmente vede la luce.
Chi non l’ha provato un momento così?
Noi comunque non possiamo sapere che cosa vive all’interno quest’uomo, possiamo solo essere attenti alla sua agitazione, al suo turbamento, alla sua mancanza di serenità.
Quante volte siamo stati turbati, inquieti, agitati? In una parola: infelici?
Riuscire a guardare la debolezza in fondo a un apparente forza aggressiva, è il trucco che sta alla base della compassione, è situata li la magia del provare amore per chi soffre e quindi nel mantenere uno stato di amore rispetto a una reazione di rabbia. Quando proviamo rabbia soffriamo, quando proviamo amore stiamo bene. Anche guardandola egoisticamente ha senso. Cominciate dalle piccole cose.
E’ stato provato con vari esperimenti, utilizzando la risonanza magnetica dal Prof. Richard Davidson, in particolare su Matthieu Ricard(monaco della tradizione tibetana), che con una pratica continua di meditazione sulla compassione, vengono attivate aree del cervello che inibiscono le reazioni di rabbia.
Questo esperimento ci dimostra che la nuova frontiera della nonviolenza è la compassione. Sviluppando la Compassione, si crea una Rivoluzione Nonviolenta.
Anche la paura può avere un effetto violento, perché ha il tentativo di allontanarsi dal contatto, agisce creando distacco.
Il distacco rapido è una violenza nel contatto.
C’è un esperimento psicologico di Daniel Stern, in cui lascia una madre con il suo bambino in una stanza. La coppia gioca e si scambia segnali di tenerezza. Quando le viene dato il segnale, la madre rimane indifferente alle richieste di contatto visivo e interazione del figlio, dopo alcuni minuti in cui il bambino tende a richiamare la sua attenzione e non trova questa reciprocità, il suo viso comincia a trasformarsi in uno sguardo di sofferenza e urla di dolore. Potete vederlo qui: https://www.youtube.com/watch?v=z90Z__mJTnE.
L’indifferenza è la paura di sentirsi coinvolti emotivamente, una difesa di sopravvivenza che può avere effetti sani, ma se è una coazione a ripetere lascia l’individuo non solo lontano dall’ambiente emotivo in cui si trova, ma soprattutto distante dalle sue emozioni e di conseguenza quelle degli altri. Le congela. Quindi indiferrenza-distacco-paura sono collegate.
Un continuo distacco del bambino con il mondo degli altri con il tempo sviluppa un filtro somatico tra lui e il mondo “degli altri” che Wilhem Reich chiamava “corazza”, una rigidità cronica sulla pancia e sul petto.
Una grande poetica musicale che fa comprendere questa dinamica di paura, in questo caso l’effetto a lungo termine di una madre apprensiva che crea nel bimbo una dinamica di distacco, è la canzone di Roger Waters Mother dei Pink Floid e tutto l’album The Wall gira intorno a questo concetto di sviluppare un muro tra noi e il mondo: https://www.youtube.com/watch?v=n_yRvxy9HVs&feature=kp
Quindi uscire dal contatto con un’altra persona con un atteggiamento indifferente, anche quando lo si fa per preservarsi, è una violenza. La causa è il sottofondo di paura.
L’indifferenza crea l’isolamento, infatti quest’ultimo è una tipica punizione per chi fa qualcosa di incivile, una violenza inflitta dalla società per permettere di imparare da quella esperienza , venendo puniti con l’isolamento, con la mancanza di contatto. La Pedagogia del terrore.
E’ per questo che naquè la legge Gozzini, aveva l’intenzione di affermare la prevalenza della funzione educativa e riabilitativa della pena penitenziaria, mettendo in secondo piano le funzioni di prevenzione, attraverso la paura della pena. http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Gozzini
Quindi quando pensiamo alla nonviolenza è necessario considerare quelle dinamiche che “noi”, come Comunità, abbiamo organizzato e che sono intrise e profondamente condizionate dalla violenza in reazione a violenza. C’è uno spettro Kafkiano in tutto ciò…
Comunque ci sono anche bellissimi esempi di opere di riabilitazione attraverso la meditazione in un carcere in India con 1’000 prigionieri, dove hanno ottenuto incredibili e inaspettati risultati. https://www.youtube.com/watch?v=WkxSyv5R1sg
Tutto questo, perché abbiamo difficoltà nel contatto con gli altri.
La parte del cervello coinvolta maggiormente nel contatto è il sistema limbico, che viene influenzato dal SNA e dalla neo corteccia cerebrale. Nel contatto con gli altri c’è una forma di autoregolazione che richiede un impegno attivo del soggetto e che è profondamente influenzata nell’infanzia delle “Neural Pathways”, le autostrade neuronali create nei primi anni di vita.
Anche qui troviamo il problema dell’impossibilità del controllo diretto e il necessario lavoro per far si che le nostre risposte agli eventi siano, per quanto possibile, sane e consapevoli e nel cercare di modificare queste strade già solcate.
Come abbiamo detto basta staccarsi da una persona per creare una piccola violenza emotiva.
Sembra sconfortante, ma la buona notizia è che si può cambiare!
Tutte le ricerche sulla neuroplasticità ci confermano che è possibile fare un lavoro di trasformazione per permettere di cambiare, di essere più pacifici, lavorando anche a livello cognitivo.
Un opera di ristrutturazione cognitiva permette di comprendere le dinamiche dei processi mentali e trasformarle con il tempo in dinamiche positive.
Anche se non basta il lavoro cognitivo come si è spesso creduto, è un primo passo.
Dopo tutto questo giro torniamo al problema di fondo: è possibile trasformare le dinamiche collettive della comunità, per tendere verso una società non violenta?
La risposta è sì.
La questione sta nel metodo.
Se tendiamo a manipolare attivamente gli altri, per tentare di immettere semi di Nonviolenza, come per esempio avviene nei Pacifisti Aggressivi, l’effetto sarà il contrario dell’obiettivo prefisso, facciamo una violenza a noi stessi e agli altri.
La questione è politica. L’unica politica efficace e non violenta è l’esempio, l’esempio incarnato di ognuno di noi che tende a migliorarsi per vivere in un mondo più onesto, che cerca di migliorarsi come essere umano appartenente alla specie, che manifesta la propria pacificità e una gentile socialità. Dopo i primi punti sull’SNA e sul sistema limbico, sappiamo che è irreale pensare che si possa debellare questa forza di fuoco, sarebbe come annullare gli istinti umani.
Bisogna vertere semmai a diminuire e regolare quanto più possibile la violenza e sviluppare la compassione, infatti il termine nonviolenza è un concetto etico(Ahimsa), che arriva dalle tradizioni orientali del Buddismo, del Jainismo, del Taoismo e vuol dire Non-Nuocere. Dall’Oriente sono nate le pratiche di cui abbiamo parlato prima, che esistono da migliaia di anni e che hanno l’obiettivo di ridurre la violenza all’essenziale, verso l’assenza del desiderio di nuocere.
Ora, per noi scettici occidentali, la scienza ci conferma che queste pratiche hanno molti benefici e che tendono a quell’obiettivo su cui stiamo riflettendo: la NonViolenza.
http://www.apa.org/monitor/2012/07-08/ce-corner.aspx
Si tratta di cominciare nel piccolo, di trasformarsi verso l’essere, uomini e donne più consapevoli, più attenti a tutto ciò che fa male a noi stessi e agli altri. Il punto è sempre li, si parte da dentro di noi per arrivare agli altri. Non ci sono invenzioni tecnologiche che possono supplire al nostro lavoro, ognuno di noi lo deve fare.
Vi siete mai chiesti se la nonviolenza si adatta, in altre parole, è omeopaticamente compatibile con il vostro Fine nella Vita? Hai un fine nella vita? O almeno, una Direzione chiara che vada al di là del comprare la casa, fare una famiglia, fare un sacco di soldi, lavorare meno, andare a vivere al mare, la pensione eccetera? Perché la Direzione o il Fine nella Vita è come il valore numero uno nella nostra scala di valori e se si scontra troppo con la nonviolenza, va a finire che buona parte della vita la si vive in conflitto, piuttosto che nella pace. Un Fine della Vita o perlomeno una Direzione chiara nella vita è alla base di un cammino nonviolento.
Comunque, il nostro sistema limbico, la parte dove si attivano le emozioni, è stato definito dagli scienziati un “circuito aperto”( a differenza del circuito sanguigno che è chiuso), che si regola in gran parte sulla base di influssi esterni.
Questo significa che la nostra stabilità emotiva viene influenzata da ciò che avviene, durante l’interazione con gli altri. Il circuito aperto è stato definito dalla Neurobiologia di Danile Siegel “regolazione limbica interpersonale”, un sistema capace di trasmettere dei segnali che incidono su molti processi mentali e fisici.
Quindi, rinforzando questo sistema di regolazione con le nostre emozioni positive, la compassione, il coraggio, la gioia, la gratitudine e la generosità influenziamo, per l’effetto dei neuroni specchio, chi ci circonda verso questi stati. Quindi aiutiamo a trasformare i loro, donandoli la bellezza del nostro benessere. Un contagio benefico.
Sembra fantascienza, ma è realtà.
E’ per questo che è così importante all’interno di un gruppo di lavoro, di qualsiasi tipo si tratti, che il Leader, la persona più espressiva e influente del gruppo, abbia la capacità di regolare il suo tono emotivo e trasmettere coraggio, visione e positività.
Ma bando alla ciance, partiamo subito.
Per quanto riguarda la meditazione, ci sono mille mille modi di meditare a seconda della tradizione religiosa di riferimento, il Buddismo, il Taoismo, il Cristianesimo, l’Islam, l’Ebraismo, l’Induismo, il Jainismo, eccetera eccetera, e ci sono meditazioni compatibili con tutte le religioni. Un esempio è quella chiamata Mindfulness, che si focalizza sulla Presenza Mentale e sull’osservazione delle sensazioni corporee. Meditare comunque, è sempre essere qui, ora, in quest’istante che tu leggi ed io scrivo.
Per imparare, è bene trovare un insegnante che pratica da almeno una decina anni.
7 minuti al giorno di meditazione in un anno trasformano il cervello verso maggiori stati di felicità, in 5 anni cambiano profondamente il comportamento in gentilezza verso se stessi, la vita e gli altri, in 10 anni mica si diventa santi, però il nostro approccio alla vita diventa rivoluzionario e pacifico.
Con la Meditazione non si guadagna niente, però vanno a dissiparsi tanti stati mentali indesiderati.
Tutto parte da me, se io voglio la pace, devo svilupparla in me e donarla a te… e tu fare lo stesso con chi ti trovi davanti. La Rivoluzione della COMPASSIONE, per essere NONVIOLENTI è possibile, bisogna cominciare ora, con il primo che incontri dopo che hai letto…