Eterno

Sono entrato più avanti nella radura. Il cielo si è infittito. Sullo sfondo è possibile sentire il suono delle automobili, qui invece è calma e pienezza. Ci si sente indisturbati, sono rumori lontani quelli che provengono dalla strada, sono presenti come una sfumatura lieve, un sottofondo. Ho incontrato i tassi in una conca di terra in cima alla collinetta di questa bella riserva. Uno era a pancia all’aria e si fregava il corpo come se si stesse curando, l’altro era rannicchiato a mò di riccio. Li guardo stare lì, vicino a una serie di buche profonde che hanno scavato, dei tunnel per penetrare nei meandri della terra, per scavarne e cercare nutrimento e rifugio.

L’uomo ha imparato da loro a scavare i tunnel nelle montagne, a creare sottopassaggi, a fare le miniere e a volte a cercare l’oro… Lo stesso scavare, penetrare e creare, che è necessario per comprendersi, per cercare il nutrimento interiore di cui si ha bisogno, lo stesso oro che ci fa brillare gli occhi, che ci fà sentire ricchi, che ci fà sentire soddisfatti.  Eppure l’uomo nemmeno se ne accorge che ci sono spiragli aperti, nella sua fantasia solitaria. Che ci sono montagne inesplorate, nei meandri della sua magnificienza.

Ora i tassi si sono accorti dell’intruso e rapidamente rientrano in luoghi in cui non ho accesso, in cui l’ingordigia dell’uomo viene lasciata alla porta, esterna ai tesori interiori.  Proseguo il cammino. La mente ora è nel passo, è lì, presente ai confini del corpo e il dondolarsi sincopato precedente ha lasciato il posto all’ondeggiare armonico dei fianchi. Ora sono un tutt’uno con il luogo, inizio a farne parte, a non rimanere escluso. Sento il picchiettare ripetuto del picchio. Mi trovo faccia a faccia con un uccellino che canta con un acuto che pare non parta da lui. Rimaniamo in un attimo eterno a fissarci. Ora ci conosciamo. Poi va via.

Mi domando se dopo un pò di volte che mi faccio vedere da quelle parti inizino a non sentirsi più preoccupati della mia presenza.

Continuo. Scendo dalla collinetta e vedo un laghetto ghiacciato. Attraverso una piana di muschio che sembra possa sprofondare da un momento all’altro. Il senso dell’equilibrio vacilla quando il terreno non è più rigido.  Mano a mano che lasciamo andare le tensioni e ci accorgiamo che tutto continua a muoversi e trasformarsi, sorge la paura. Se con coraggio accettiamo questa realtà, anche la paura inizia ad assopirsi per poi svanire.  E’ difficile credere che quelle pietre del colosseo e dintorni un giorno svaniranno e diventeranno altro. Abbiamo la tendenza, data dalla paura di ascoltare questo continuo tremolio che ci pervade e che fa nascere e morire ogni cosa incessantemente, di eternizzare tutto, in particolar modo ciò che l’uomo ha fatto. Gli Artifici. Semplicemente si fa difficoltà ad accettare che tutto ciò che è esistente e continua a mutare di forma. Quando si dice conservare, viene dato poco conto al fatto che anche ciò che viene conservato muta, sebbene con lentezza. Ci piace illuderci che congelare, sia, mantenere nello stesso stato una cosa in eterno. Abbiamo anche la presunzione che sia un innovazione della civiltà del ventesimo secolo, quella per intenderci, delle bombe atomiche. Che grandi passi ha fatto la scienza…Gli egizi spalmavano in cadaveri degli dei in terra, i faraoni, con unguenti di erbe e grassi. Poi li avvolgevano in tessuti e gli lasciavano in dotazione ricchezze civili, chissà poi nell’aldilà(o aldiquà) ci potesse essere, nelle membra, una vita eterna. Tutti i libri sapienzali parlano di eternità, benchè nessuno mai la identifica nei corpi o nelle forme esteriori.  Noi siamo eterni, ora.

Sento la sirena di un autombulanza e ripiombo sul vivere comune, sul vivere in comune, sulla comunità.

Questi discorsi sull’eternità vengono considerati mistici o da eremiti, o da disadattati sociali. Perchè la comunità tende ad escludere chi fà ragionamenti che vanno troppo lontano da ciò che rende indaffarati, per il voto, verso l’edificio architettonico sociale e organizzativo della comunità. Viene considerato da folli dire che l’immobile che mi stà di fronte è traballante. Sempre che, a quella persona, non sia stato riconosciuto un titolo, dato dalla comunità, per dire le cose che sta dicendo…

Siamo mai stati ad ascoltare in silenzio e fermi lo scricchiolare delle pareti della nostra casa? Osserviamo mai le piccole crepe che si vengono a formare sui muri(senza pensare di stuccarle)?  Le troppe cose da fare, alcune che ci siamo imposti noi tante altre date dagli altri, ci hanno resi assenti a ciò che ci pervade e circonda. Riusciamo a dedicare alcuni minuti di attenzione quà, qualche minuto là. Basterebbe osservare una pianta tutti i giorni con infinita attenzione per comprendere ciò che si sta dicendo qui. Guardando la sua continua trasformazione, come un fenomeno che si rispecchia in tutte le cose.  Questi discorsi irritano o rendono indifferenti molte persone. Le prime si infuocano perchè con queste parole si stà mettendo in discussione ciò che loro credono fermamente e quindi sentono un sentimento di invasione. Qualcuno sta cercando di disgregare le loro credenze e attingono a quella risorsa dell’uomo di contattare quell’enorme energia contenuta al suo interno, da usare nei momenti di pericolo e che li fà sbraitare per distruggere queste ignobili parole che vengono pronunciate. La rabbia. Gli altri invece, si distaccano a tal punto da questo flusso di pensiero, apparentemente ignorandolo o deridendolo dai loro scranni di sapere, dimostrando  tutta la fragilità dei fondamenti, su cui si basa il loro impianto di idee. E per far si che non venga intaccato e lasciato deflegrare dalla miccia della sua inconsistenza, si allontanano per paura.  L’uomo ha un carattere diamantino, duro in superficie e fragilissimo in consistenza.  Ha la capacità di semplificare una vita di esperienze in una parola o in una immagine, a volte in un icona. Quando riesce a concatenare una serie di parole o immagini in un discorso ardito, sembra che quella stessa persona incarni tutto ciò che sembrano dire quelle forme, sembra che egli possieda il sapere universale.

Abbiamo dei luoghi colmi di queste persone.

Al di là di questo strabiliante ponte che passa dalla parola all’esperienza, c’è un fiume insidioso che pochi sembrano avere il coraggio di attraversare. Bagnarsi le membra è l’unica possibilità che abbiamo per attraversare questa superficie di sapere, per entrare nel vivo della questione, per verificare in prima persona ciò che ci hanno detto chi ritornato dal ponte.  Per costruirsi un natante ci sono mille modi, si può prendere il progetto di altri, anche se non sappiamo se sia adatto a noi oppure si può prendere quà e là spunti e poi costruirselo da soli. La seconda ha il vantaggio di iniziare da subito a realizzare l’opera, ancor prima di iniziare la traversata e sebbene comporti più sforzo, da tante soddisfazioni in più. Una volta sull’altra sponda il mezzo per entrare nella boscaglia sarà inutile, un bagaglio troppo pesante, bisognerà abbandonarlo. Quanti pianti sulle rive. Quante ancore sulle spalle che impediscono il proseguire sereni. Nel bel mezzo del fiume, qualsiasi sia l’imbarcazione scelta, si sarà avvolti dalle nebbie e dalle tempeste. In quei frangenti, la sontuosità dell’imbarcazione non servirà a nulla e nemmeno la speranza di arrivare a destinazione, l’unica risorsa che abbiamo è la fede. Quindi investire un eccessivo tempo ed energie nella costruzione tecnica della barca, con tutta la devozione necessaria a lucidarla, sarà poco rilevante. E’ come prendere il progetto di imbarcazione solide altrui, stando decine di anni sulla riva a contemplare la bellezza dell’architettura e lucidità dei legni, senza neppure toccare l’acqua. Qualche legno scelto con oculatezza e dei legacci abbastanza resistenti basteranno per tuffarsi e remare.  Poi, ogni qualvolta i cavalloni ci occluderanno il respiro, ci sarà da ricordarsi di ricontattare il potere di cui abbiamo bisogno, che ci pervade continuamente.  Viene chiamata fede nell’esistenza, o fede nel processo o fede in dio non ha importanza, qualunque nome gli vogliamo dare rimane il fatto che è inesauribile e ci accompagna.

Intanto sento muoversi velocemente tanti passi e vedo delle macchie bianche che saltano nella boscaglia, a un centinaio di metri da me. Sono caprioli. Mi hanno sentito camminare. Devono avere una sensibilità sottile per avermi sentito da una distanza così. Forse ho trovato dove vivono. Sono 7 e si sono spostati in un campo aperto adiacente il bosco. Siamo fermi e ci scrutiamo a distanza. Fino al prossimo gesto.

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