Ieri sera eravamo in piacevole compagnia con una coppia di amici, lei afghana e lui italiano. Avevo portato anche il pc con tante riprese fatte a Kabul ed Herat, per riportare a lei un pò di Afghanistan, che è più di 15 anni che non vede. Abbiamo guardato un pò del lavoro fatto, nell’università, nei riformatori, nell’orfanotrofio, durante il terrorismo e dopo più di 25 anni di Guerra.
Svegliarsi con le bombe è un insegnamento che mi porto dentro, il rumore dei mitragliatori che si sparano, la paura che possa toccare a me.
Eppure sembra che molti non capiscano, siano offuscati dall’ombra del male, siano immersi in quella rabbia che crea morti, che fa perdere di vista un qualche senso nella vita.
Molti non ce l’hanno, certo. Sono persi in un girovagare per il niente, un niente che a volte può essere un lavoro alienante per 35 anni o più della loro vita, qualcosa che fa perdere il senso del sè. Altri ne vedono il tunnel prima di entrare e diventano nichilisti, pessimisti e arrabbiati, altri sono completamente malati e invasati e fanno ciò che è successo.
Ti chiederai: cosa centra tutto ciò, con i fatti di Parigi?
Eh, me lo chiedo anche io, qual è il senso di contanta disperazione e contanta mancanza di rispetto per la vita umana?
La presa di coscienza che la nostra società ha sofferenza, creata da un sistema che ha perso di vista alcuni valori essenziali, nasce in queste occasioni, dopo un botto che le tocca da vicino. Bisogna che ci muoviamo prima e non basta neanche…
Se vogliamo dare un valore matematico alla sofferenza, possiamo dire che il 50% è inevitabile, però per l’altro 50% possiamo farci qualcosa, insieme.
Da cosa parte la rabbia che porta a questo? Qual è la causa di queste efferate manifestazioni di violenza?
Vogliamo continuare a prendere un antidolorifico e andare a sparare all’impazzata sugli arrabbiati dell’ISIS?
Perchè gli effetti di questi accadimenti sono la paura, per altri la tristezza, per molti è rabbia, l’odio non è nient’altro che rabbia sostenuta, rabbia nutrita continuamente da pensieri, un sentimento che rimane più o meno duraturo, a volte latente, fino alla sua liberazione, fino alla sua trasformazione.
Qual è la soluzione amico friz?
Andare a bombardare per fare sparire dalla faccia della terra altri esseri umani?
Si la paura che vivi e la rabbia portano a quello.
Ha senso continuare a portare terrore per estirparlo? Cioè, facciamo un piccolo esercizio di logica. semplice. A+A può fare B? terrore + terrore può fare pace?
eppure sembra puerile, sembra fatto da un pacifista, da uno di quei disprezzabili esseri che non s’indignano.
la questione è più profonda caro amico Friz.
ho passato due anni ad aiutare, a ricercare, a provare, insieme a centinaia di studenti e professori di psicologia, come “riequilibrare” un popolo martoriato dalla guerra e con così tanti traumi che si porteranno dentro per decine d’anni e forse, fino alla loro morte naturale. Il problema me lo sono posto, perchè gli strascichi delle azioni che vorrai andare a fare, anche con i soldi presi dal caffè che mi bevo, saranno a lungo termine, più di quanto credi.
Così hanno fatto i nostri nonni nel dopoguerra, hanno taciuto i morti ammazzati, hanno taciuto rispetto alle persone che hanno ucciso, hanno taciuto i traumi di trincea, hanno taciuto e si sono portati dentro quelle violenze. Non solo, le hanno fatte, in maniera diversa ai loro figli, ai nostri padri. erano le botte o altre ignobili cose. e qualcosa è arrivato pure a noi.
Pensateci cari amici Friz, perchè siete in tanti ora. Perchè se continuate a agire sugli effetti, queste malattie non le curerete mai. Sarete dei medici falliti.
Nessuno forse ha la vera soluzione, ma a me sembra che si continua a perpetrare una storia senza fine, un criceto che gira nella ruota cercando una fuoriuscita impossibile, una ruota di violenza che si autoalimenta.
Provo tristezza per ciò che accade, per le persone che erano li, per i loro cari, per un villaggio globale che oltre a urlare, si ammazza.
Cari
amici Friz, riflettete bene agli effetti che intraprenderete ora, perchè rischiano di tornarci indietro più forti di come andrete a fare.
alberto pennella